E’ possibile.

Sono E., una donna venezuelana di 43 anni. Ho due figlie, di 20 e 4 anni, e vivo in Italia dal 1997. 

Il 25 Maggio 2020, sono uscita da Casa Viola, dopo 14 mesi di accoglienza. Sono arrivata qui dopo una convivenza finita molto male con il padre di mia figlia più piccola. Un anno fa mi sono trovata per strada, inseguita, spaventata e molto disorientata. 

Oggi sto bene finalmente! Le mie figlie stanno bene, siamo tranquille, serene e con un futuro davanti. La fine di un incubo e l’inizio una nuova vita.

“Benvenuta ad una nuova vita” sono state le parole dell’educatrice quando mi aprì la porta di CASA VIOLA, non mi sembrava vero! Era marzo 2019. Finalmente un posto dove poter stare con le mie figlie, riunite: poter cucinare per loro e dormire tranquille senza dover fare le valige ogni mattina, cambiando albergo continuamente, come facevo da un mese, appena scappata di casa con mia figlia più piccola, con i soldi che diminuivano e finivano di giorno in giorno e il terrore che lui mi trovasse fuori per aggredirmi. Avrei voluto scappare lontano ma non potevo “sequestrare” sua figlia, come diceva lui; perciò la portavo ogni giorno a scuola, cosi si arrabbiava un po’ meno,  ma il pericolo era proprio anche in quella situazione, ogni volta che lo incontravo. Chiedevo così aiuto ad un mio nipote o a mia figlia più grande per questi accompagnamenti ma non sempre era possibile. Era inevitabile incontralo e sentire le sue minacce e così cercavo posti pieni di gente, per sentirmi più al sicuro.

Famiglia non ne ho, tranne questo mio giovane nipote. Amici e vicini non mi aiutavano, non volevano problemi. Sapevano, sentivano ma cosa potevano fare? 

Cercavo aiuto da anni senza risultato. Forse non ero credibile, o forse non sembravo una donna debole, che potesse avere bisogno di aiuto.

Denunciare? Che paura! Significa dichiarare guerra, io che non sono capace di difendermi e subisco violenza senza capirne il reale motivo, senza fare niente, figuriamoci cosa accadrebbe se lo denunciassi? Questo ciò che pensavo. Come posso affrontare una guerra senza armi di difesa? L’unica arma che ho è denunciare? Avevo chiesto in passato al Centro Antiviolenza: dopo che lo denuncio come torno a casa? dove vado? avete un posto per noi?  Avevo paura e allora lasciavo perdere i pugni, le offese e le minacce e restavo a casa “dell’orco”, comportandomi bene, fino alla volta successiva.

Arriva però un altro fine settimana di alcool, mia figlia più grande non mi rispettava più, vedeva come lo servivo e lo veneravo, avendo i lividi. Pensava fossi masochista, ma io non lo sono. Per niente. Ero solo dipendente economicamente, oltre al fatto che lui era più forte di me con i pugni e da lui non sentivo di poter scappare. 

Un giorno le minacce si fecero più terribili: mi promise che mi avrebbe dato fuoco, come a quella donna calabrese bruciata nella macchina di cui si parlava in quel periodo. Seguivo la cronaca e queste notizie mi spaventavano moltissimo, mi chiedevo se sarei stata la prossima. Andai dall’assistente sociale che mi ascoltò, non potevo più rischiare e mi sono detta che se proprio avessi dovuto morire almeno i carabinieri lo avrebbero saputo prima. 

Il giorno dopo mi fissarono un incontro ai servizi sociali. Mi aspettava l’operatrice del CAV e l’educatrice di una casa di accoglienza, Casa Viola.  Stavano lì per me, erano venute a prendermi.

Inizia così il mio percorso, al centro di una rete di servizi che hanno operato al meglio tra loro per la mia sicurezza e il benessere mio e delle mie figlie, per rendermi una persona più sicura e autosufficiente. Questo percorso è stato graduale e mi sono sentita sicura e fiduciosa, ero nelle mani di professionisti.

Mi vennero spiegate le regole di Casa Viola per una sana convivenza, per la mia sicurezza, e per poter interagire con le educatrici e gli altri servizi. Al mio arrivo ero molto dispiaciuta per aver tolto la bambina dalla sua scuola materna, era la cosa che mi aveva frenata in tante occasioni, provavo “pena” per lei. L’avevo già portata via da casa e da suo padre, dalle sue amiche e dalle maestre. Ho pianto tantissimo.

Poi mi hanno suggerito di non rispondere più al telefono e questa è stata la prima grande liberazione. Che sensazione di tranquillità non dover più sentire le sue minacce e le sue offese! Fu il mio primo traguardo. Dovevo solo occuparmi di me, stavo sempre meglio, e per di più non dovevo preoccuparmi del vitto e dell’alloggio. Mi sono riposata un po’ la mente.

Nella seconda fase ho iniziato a interagire con tutta la rete: Centro Antiviolenza, Consultorio Familiare, educatrici di Casa viola e gli educatori delle visite protette. La mia bambina vedeva infatti il padre, in luogo protetto. Ero contenta di questo. L’educatrice mi aiutava a programmare la mia quotidianità, il mio calendario, giorno per giorno con tanti appuntamenti, facendo “il punto della situazione” e, confrontandomi  con lei, valutavamo come stavo e le mie impressioni.

A metà aprile 2019 la mia piccola viene ammessa alla scuola materna del nuovo quartiere in cui abitiamo.  E’ un bellissimo ambiente e le maestre sono brave! Mi rendo conto che aver lasciato la scuola a metà anno scolastico non è stata poi la fine del mondo. Adesso posso pensare a prepararmi per il nostro futuro, a trovare un lavoretto nel frattempo e cercare con l’educatrice un bel corso di contabilità, base e avanzata, che mi permetta poi di inserirmi meglio nel mondo del lavoro. Perché prima di questa relazione avevo sempre lavorato, ero stata anche imprenditrice. Abbiamo trovato il corso ma non era semplice far coincidere gli orari con la gestione della bambina. Con l’aiuto dell’educatrice e di una volontaria di servizio civile, che è stata molto importante, abbiamo risolto anche questo!

E poi arriva un’altra notizia: le educatrici di Casa Viola hanno trovato un’azienda disponibile a farmi fare un bellissimo tirocinio post-corso. Un nuovo inizio. 

Mia figlia più grande termina il liceo, fa la maturità  e deve lasciare la stanza per studenti dove abita. E’ sola,  quindi chiedo all’assistente sociale di permettermi di tenerla in Casa Viola con me. Anche lei aveva assistito più volte alle violenze e se ne era andata di casa anche per questo. Comprendendo le mie preoccupazioni, viene a stare con noi. Casa Viola costruì anche per lei un bellissimo progetto: trova un lavoretto serale in un ristorante vicino e inizia a riprendere anche lei fiducia nel futuro. L’assistente sociale le propone un corso per un inserimento lavorativo per giovani, che poi le offre un’opportunità di tirocinio come segretaria. Io nel fine settimana trovo lavoro in una pizzeria. 

Con un finanziamento regionale per donne vittime di violenza faccio un tirocinio retribuito, copro le spese di trasporto, il carburante  e inizio a fare il tirocinio della durata di sei mesi come segretaria amministrativa in un’azienda di catering. Mi piace moltissimo e sento che continuo a migliorare.

Inizia così la tanto attesa, fase di sgancio. Il finanziamento economico mi permette di firmare un contratto di affitto per un appartamento che ho trovato e di comprare del nuovo mobilio.

Sono un pò preoccupata, non so bene cosa mi riservi il futuro ma sicuramente posso ripartire, più forte, con le mie figlie, insieme per riscrivere una nuova storia.

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