Chi sono i richiedenti asilo? Ne sentiamo sempre parlare, ma pochi conoscono veramente le loro storie. Storie di sofferenza, violenza e fatiche, storie di viaggi che avrebbero bisogno di essere ascoltate di più. Gruppo R dal 2014 offre un servizio di prima accoglienza a circa trenta persone in attesa di protezione internazionale, uomini e donne di nazionalità diverse, con vissuti pesanti e storie diverse…alcune però con un lieto fine.
Come la storia di A. arrivato in Sicilia nell’Aprile 2014, dopo un lungo viaggio durato diversi mesi.
“Quando sono arrivato avevo paura. Paura rispetto alla mia possibilità di futuro, alla possibilità di non poter restare dopo un viaggio così duro e violento. Quando siamo arrivati in Sicilia non capivo nulla.
Poco dopo il mio arrivo in terraferma mi trovavo seduto in un aereo chiedendomi: “Mi stanno riportando in Gambia?”. Solo quando sono sceso ho visto che ero solo in un’altra città italiana, Verona, e che il nostro viaggio non si era concluso. Un viaggio dopo un viaggio che ci ha portato successivamente a Vicenza e poi Padova. Un periodo di attesa, completamente disorientato e nelle mani di cooperative che dovevano indirizzarci la strada ma a volte senza saperla. Non capivo cosa dovevo fare e chi avrebbe potuto aiutarmi. Ero senza documenti. Ma poi sono arrivato a Gruppo R. E in una settimana tutto è cambiato.
Ho fatto la domanda di protezione internazionale, ci hanno inserito a scuola e dà lì “ho finalmente visto le stelle”. Andare a scuola è stato il momento più importante. Abbiamo iniziato a fare tante cose, parlavamo molto con gli operatori, capivamo come e cosa potevamo fare per integrarci nel vostro paese. Ci facevano tante domande e abbiamo cominciato a lavorare sulle nostre storie per la Commissione, l’organo che valuta le domande di tutti noi che facciamo richiesta di protezione internazionale. Abbiamo iniziato a preparare il nostro curriculum andando in delle realtà del territorio che si occupavano di questo e abbiamo iniziato a conoscere persone italiane diverse che potevano offrirci poi opportunità nuove. Dopo due mesi il mio italiano cominciava a funzionare e mi è arrivata la prima offerta di lavoro, volantinaggio. Ho iniziato poi a informarmi e ho deciso anche di fare un corso per steward. Ho fatto l’esame e l’ho superato.
Quando sono partito mi aspettavo di vivere in una situazione migliore qui in Italia, in cui potermi integrare facilmente, lavorare e star bene. Nel mio paese avevo studiato e lavoravo ma non potevo più restare. Invece tutto è stato molto difficile e ho passato momenti difficili. Il mio colore della pelle non aiuta se vuoi integrarti. Ci sono molte persone che ci giudicano male anche se non sanno nulla di noi. Quando andavo a scuola in autobus tante volte sono stato deriso e molti ragazzi si spostavano perché davo fastidio. Non avevo fatto nulla e questa
situazione mi feriva molto. In Gambia siamo abituati a salutare tutti, anche chi non conosciamo, mentre qui se saluti non rispondono. Per strada a volte le persone cambiano strada per evitarti. Ma non tutti. Ho incontrato anche molte persone che mi hanno accolto e aiutato e soprattutto hanno voluto sapere perché sono venuto qui. Non ho mai fatto del male a nessuno. Qui ti senti solo, non hai la tua famiglia che ti ama e ti supporta e il non sentirsi accettato ti fa soffrire.
Il tenermi impegnato, preparare il Cv e poi iniziare a lavorare mi aiutava a non pensare e il mio piccolo stipendio mi faceva star meglio. Alla domanda di protezione ho ricevuto un “No” e ho fatto ricorso. Sono stato aiutato e ho ottenuto in gratuito patrocinio per essere accompagnato in questo percorso. Anche qui “ho rivisto le stelle”. Andando a scuola, lavorando ho conosciuto tante persone che mi hanno aiutato e consigliato tanto.
Il giorno dell’udienza, l’avvocato mi avverte che mi sarei dovuto presentare con un mediatore. Non lo sapevo, ho cercato chiamando qualche amico ma non volevo spostare l’appuntamento. Ero spaventato e un mio amico italiano mi ha
detto “Vai da solo, sei capace!”. “Stai scherzando?” gli ho risposto, questa è la mia vita!”. Ha insistito, dicendomi che il mio italiano era il mio punto di forza.
Sono andato. Ho parlato solo italiano. Avevo paura di aver perso. Ma poi qualche giorno dopo ho ricevuto la chiamata: ce l’avevo fatta, avevo vinto.