In occasione della giornata del primo maggio abbiamo pensato di dare spazio a pensieri che ci possano ricordare l’importanza del lavoro da diversi punti di vista. Abbiamo quindi chiesto a Federica Bruni, assistente sociale esperta nell’integrazione tra Servizi Sociali e Politiche Attive del Lavoro, e Phita Mane, giovane lavoratore di Remix. Ad entrambi abbiamo chiesto quale sia il significato che per loro ha la parola lavoro e di come questo impatti nella vita delle persone.
Lavorare è “fare il proprio pezzettino” nella società
“Ho iniziato a lavorare nel 2019 grazie ad un amico che mi ha presentato nell’azienda dove era inserito. Mi hanno assunto ma dopo poco sono rimasto a casa e circa un anno fa, grazie alla Caritas, sono stato inserito in Remix dove continuo a lavorare ad oggi. Il lavoro mi ha permesso di capire come e cosa dovessi fare, ho trovato persone pazienti che mi hanno spiegato tutto ciò che non capivo.
Per me lavoro significa impegno, il lavoro dà la possibilità di avere qualcosa nella vita, altrimenti è molto difficile vivere, che sia da soli o con altre persone. Il lavoro permette di essere autonomi, di sentirsi e di essere inseriti all’interno della società sapendo di poter fare il proprio pezzettino.
Prima di lavorare ero sempre a casa, avevo certo più tempo libero ma non avevo la possibilità di decidere cosa fare realmente della mia vita. Ora posso fare le attività che desidero e, soprattutto, ho posso ricominciare a sognare il mio futuro, a fare progetti sapendo che la mia vita dipende da me e dalle mie scelte.”
Phita Mane
Lavorare è “rivelarsi”
“Le persone hanno una esigenza fondamentale, antropologica: rivelarsi, a sé e al mondo. L’identità ed il valore di ogni persona si formano e si rivelano nel lavoro. Per questo motivo il lavoro non può essere “snaturante” non può offendere e togliere gli elementi costitutivi della persona: la sua identità, le sue relazioni, il suo valore. Per me il lavoro è questo, un “luogo” che risponde a bisogni profondi. Se lo penso solo come fonte di reddito, vado incontro a fallimenti e insoddisfazioni. Se accetto che la scarsa remunerazione sia fonte di povertà e conflitti (“è così che va il mercato”) non perdo consumatori, perdo persone.
Giovani e lavoro: rivelarsi al mondo
Può cambiare la vita perché permette al giovane di affermarsi nel mondo. Non intendo “fare fortuna”, intendo sentire di fare parte di un mondo, di una comunità, esserne responsabile e poter esercitare un ruolo. Don Luigi Ciotti molti anni fa diceva che i giovani si sentono “eccedenza sociale”, si sentono irrilevanti e quindi estranei al mondo. Il lavoro permette loro di superare questa posizione, di sentirsi parte del mondo. I lavori di basso profilo, saltuari, sottopagati sono il segnale che la nostra società guarda ai giovani come non-persone. Anche l’assenza di servizi di orientamento continuativi (non poche ore qua e là nei progetti o a scuola) dice che non pensiamo ai giovani come persone che hanno l’esigenza di rivelarsi al mondo e, soprattutto, dice che pensiamo di poter fare a meno di loro.
Fragilità e lavoro: le politiche sociali si riconciliano con le politiche del lavoro
L’inserimento lavorativo delle persone fragili è la via di uscita dalla falsa meritocrazia, quella che premia chi parte avvantaggiato, quella che non considera le fasi della vita, nelle quali tutti possiamo diventare fragili, senza per questo perdere il diritto di restare in gioco. In alcuni gruppi sociali, il tuo passato determina irrevocabilmente il tuo futuro, se sei nato in quella famiglia o hai frequentato quella scuola allora avrai “quello che ti meriti”. Inserire al lavoro “i fragili” rompe questa regola, mostra alla comunità che il destino delle persone non è già scritto, può essere ri-scritto. E’ un processo che riconcilia le politiche sociali con le politiche del lavoro, che spesso operano separatamente, rivolgendosi a quote di popolazione distinte. Mi auguro che l’inserimento dei fragili sia l’occasione per rinnovare i nostri servizi in una direzione di integrazione tra le politiche e di risposte pensate su misura delle necessità delle persone (e non pescate da un catalogo).”
Federica Bruni