Il 17 ottobre è la giornata internazionale per l’eradicazione della povertà, durante questo mese si sente spesso parlare di povertà, di contrasto alla grave marginalità, si organizzano eventi e si partecipa ad iniziative legate al tema. Ma cos’è la povertà? E come, nel nostro lavoro, contrastiamo questo fenomeno? Lo abbiamo chiesto ad Andrea, coordinatore dell’Area Inclusione della nostra Cooperativa.
Lavoriamo ogni giorno per sradicare ogni forma di povertà
Lavoriamo ogni giorno per sradicare ogni forma di povertà
Nel 1987 l’Organizzazione delle Nazioni Unite istituisce la “Giornata internazionale per l’eradicazione della povertà” e identifica il 17 ottobre di ogni anno come data di questa ricorrenza. Nel nostro immaginario comune, se diciamo “povertà” ci vengono subito in mente le immagini di bambini e bambine di qualche parte del continente Africano o Asiatico o in America Latina, che non hanno di che sfamarsi. Ed è corretto il pensiero, perché in effetti quella è una forma di povertà estrema, assoluta.
Ad oggi infatti circa il 13% della popolazione mondiale vive con meno di 1,90 dollari al giorno. In altre parole, circa tra i 900 e i 950 milioni di persone nel mondo, sopravvivono quotidianamente con quello che io spendo come colazione al bar, cappuccino e brioches (ci avevi mai pensato?).
La stragrande maggioranza di queste persone vive tutta la vita nel proprio Paese. Una piccola parte invece, per sfuggire alla povertà, cerca fortuna migrando in altri Paesi diversi dal proprio, per tentare di non soccombere.
LE povertà non sono mai una colpa
Queste situazioni ovviamente non sono frutto di scelte o di colpe. La povertà non è mai una colpa. Queste sono macro-situazioni che coinvolgono centinaia di migliaia di persone, dove occorre che intervenga la politica internazionale per riequilibrare il divario nord-sud del mondo, investendo tempo, energie e risorse in tutti quei Paesi dove le risorse sono state prelevate per decenni, secondo una logica coloniale e di sfruttamento.
La povertà, però, non è solo questo. C’è anche una povertà “economica” molto più vicina a noi: quella di chi chiede l’elemosina sotto un portico; quella di chi fa il giro delle parrocchie per prendere una borsa spesa dalla Caritas; quella di chi non riesce a pagare tutte le bollette del mese; quella di chi non può permettersi di mandare i figli al centro estivo.. In Italia le persone in povertà assoluta sono 5,6 milioni, il 9,5% della popolazione. Su questo il ruolo dei Servizi Sociali e degli enti caritatevoli è fondamentale, per dare forme minime di sostegno per provare a garantire e tutelare la dignità della persona.
La povertà, poi, negli anni ha mostrato altre sfaccettature sulle quali si sta cercando di intervenire oggi con altre forme di welfare: la povertà educativa “La privazione da parte dei bambini, delle bambine e degli/delle adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”; la povertà culturale “Quando per una persona il diritto ad apprendere, a formarsi, a sviluppare capacità e competenze, a coltivare le proprie aspirazioni e talenti è disatteso o compromesso”; la povertà relazionale che vede sempre più persone isolate e prive di legami significativi.
Queste forme di povertà, poi, molto spesso si incrociano, si sovrappongono e tengono le persone ai margini.
Sempre il nostro immaginario ci porta a contrapporre “povertà” a “ricchezza”.
La ricchezza non è solo economica
Se quindi abbiamo capito che la povertà non è solo economica, viene da sé che nemmeno la ricchezza è solo economica.
Questo aspetto ci permette allora di comprendere bene il ruolo e il valore del nostro lavoro e di tutti quelli che come noi si impegnano quotidianamente su questi temi: “eliminare ogni forma di povertà” significa anche offrire “ricchezza” di relazioni, aiutare, supportare e stare accanto ad una persona che vive un momento di difficoltà; significa offrire un luogo sicuro che le persone possano chiamare “casa” e dove possano trovare volti familiari su cui possano contare; significa aprire le porte a chi viene da altri luoghi vicini o lontani, cercando di sfuggire al proprio futuro di povertà e miseria; significa guardare con occhi diversi chi ci tende la mano sotto un portico, chiedendoci aiuto.
Incominciamo da questi piccoli gesti. Diminuiamo le distanze.
#la povertà non è mai una colpa“
Andrea
Condivido con Andrea quanto ha detto sulla povertà ma penso a quanto mi imbarazza tendere una moneta a che tende la mano sotto i portici. Mi assale la paura di essere gabbata e può anche essere e poi sto male e perché penso e se aveva proprio bisogno?