All’interno del corso di laurea in Servizio Sociale, le studentesse e gli studenti hanno la possibilità (e l’obbligo) di svolgere delle esperienze di tirocinio, in due moduli da 250 ore, affiancati da un professionista.
La nostra cooperativa accoglie queste esperienze da diverso tempo e apre le porte a “professionst* in erba”. Da Marzo sono state con noi Veronica, nell’area contrasto alla violenza di genere con un impegno nelle Case Rifugio, e Chiara, in area inclusione sociale nei CD La Bussola e Il Salotto.
A luglio hanno concluso la loro esperienza e ci hanno lasciato qualche riga che ci ricorda l’importanza di accompagnare i giovani e le giovani nel mercato del lavoro, con esperienze di valore, di relazione e, perchè no, di stile….cooperativo!
La relazione d’ascolto per lo sviluppo di un pensiero consapevole
“La ricerca del secondo modulo di tirocinio mi ha portata a contattare Gruppo R, in particolare le Case Rifugio per le donne vittima di violenza. Quando mi è stata data la possibilità di entrare in contatto diretto con una realtà che mi ha sempre affascinata e incuriosita, ho voluto mettermi fin da subito in gioco. Sia per poter dimostrare quanto quell’opportunità io l’abbia colta con immensa felicità, sia per comprendere personalmente quante abilità riuscivo a mettere in campo e quante altre, invece, dovevo ancora acquisire. Questo mio interesse mi ha aiutata anche a sentirmi maggiormente motivata e determinata a svolgere e comprendere al meglio i compiti che mi sono stati dati.
Il contatto diretto con le donne e i bambini che vivono all’interno delle case mi ha permesso di mettermi in ascolto e in costante discussione, fornendomi forti spunti di riflessione.
Le relazioni create con le altre professioniste e la mia stessa tutor, mi hanno stimolata per lo sviluppo di un pensiero critico, grazie anche alla possibilità di confronto e condivisione. Mi è stato chiesto alle volte anche di mettermi alla prova… sempre però stando all’interno di un contesto sicuro, pieno di persone su cui poter fare riferimento in ogni momento.
Questo tirocinio ha significato per me, non solo una delle prime sperimentazioni professionali, ma un’esperienza di crescita personale che mi ha permesso di comprendere meglio come comportarmi in relazione alle diverse situazioni e ai diversi ambiti in cui sono potuta entrare in contatto.
L’aver partecipato, anche se in una piccola parte di questo grande sistema, nell’accogliere le donne vittime di violenza mi ha fatto comprendere maggiormente i meccanismi che ci sono all’interno di questo fenomeno, sempre più in crescita.
Lavorare a stretto contatto con il fenomeno della violenza di genere, può risultare difficile, ma grazie al lavoro di équipe, in cui si condividono sia traguardi che fallimenti, si possono creare risorse per la donna, strumenti per renderla protagonista della sua stessa vita.
Durante il mio tirocinio ho compreso anche come la prevenzione all’interno della società, grazie alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul tema, sia fondamentale. Attraverso il racconto delle diverse storie e alla diffusione di informazioni relative al tema, si possono promuovere cambiamenti di atteggiamento e di comportamento, facendo sì che si lotti insieme contro la violenza e promuovendo l’uguaglianza di genere.“
Veronica Velasquez
Imparare come essere presenti per l’altro
“Iniziare un tirocinio può essere sfidante. Lo è stato per me: si tratta di conoscere un nuovo ambiente, in cui tutti si conoscono; di avere una nuova routine, che gli altri hanno da tempo; di sapere come comportarsi con persone in una situazione di particolare fragilità. Non sai quanta delicatezza devi avere, quanta accortezza devi prestare, o quanta distanza dovresti mantenere.
Allora ti chiedi come fare….ma nel frattempo ogni giorno ti siedi in ufficio e, prima sistemi la cartella di una persona che ti si presenta quasi facendoti un inchino, non avendoti mai vista a La Bussola; poi trascrivi il colloquio di un’altra che è passata di lì solo per un saluto ma nel frattempo ha chiesto informazioni su un possibile contributo economico, e ti strizza l’occhio d’intesa.
Ti chiedi come fare quando un’altra persona ancora, dopo averle semplicemente risposto a delle domande e dato indicazioni su una pratica, ti ringrazia ripetutamente e ti chiede scusa per aver disturbato. Ti chiedi come fare durante un colloquio in cui si discute della possibilità di vedersi riconosciuta, finalmente dopo anni, la residenza anagrafica, ma al tono scherzoso tenuto nella conversazione fatichi a trattenere una risatina.
Nel frattempo passano le ore e i giorni, a La Bussola e al Salotto. Impari la routine, la tua e quella degli altri: le mattine a La Bussola, frenetiche tra una cartella e l’altra, seguiti dai pranzi tutti insieme, con chi sta più sulle sue, chi fa due chiacchiere e chi si fermerebbe al banco del bar per il caffè tutto il pomeriggio, per concludere infine la giornata al Salotto, momento a cui non vedi l’ora di arrivare per giocare a carte o qualche gioco da tavolo, con gli altri.
Ed è anche questa routine a farti vedere chiare le cose, a provare ad essere presente per l’altro. Un poco alla volta, finché ti rendi conto che si è creata una piccola comunità, che con i suoi riti quotidiani dà continuità alla vita di tanti, qui a La Bussola e al Salotto, ascoltando l’altro, sì nelle sue fragilità ma anche negli altri momenti, semplici ma rivitalizzanti.
Finché ti rendi conto che, nel frattempo che pensavi tutto questo, ti hanno appena battuta, di nuovo, a carte, e dovrai giocare un’altra partita, semplicemente.“
Chiara Tomasoni